Non inaspettata, dati l'età e gli incombenti acciacchi, ma sicuramente dolorosa è la notizia della scomparsa del dottor Gianezio Dolfini, figura di primo piano, per quanto l'interessato abbia fatto molto per comprimerla nella riservatezza e nel garbo, della comunità cremonese in senso lato.
Ci appare giusto, forse doveroso, in qualche modo focalizzarne i tratti salienti e significativi, perché restino nelle consapevolezze della sua città, cui è sempre stato legato e che ha servito con competenza, dedizione, correttezza sia nell'attività professionale sia nella testimonianza civile.
Difficile, in questo momento in cui i ricordi affollano i sentimenti e le consapevolezze, separare i piani dei comuni incroci. Per decenni, se non altro perché impegnati nella passionaccia politica, che ci aveva fatto approdare a movimenti di consistenza minoritaria (dal punto di vista del rating elettorale). Fin dai tempi, per quanto il delta anagrafico lo renderebbe improbabile della militanza giovanile; lui in quella dell'Edera, chi scrive in quella Socialista.
Il primo aggancio fu il contatto che ci vide entrambi impegnati nell'organizzazione della “contro”-manifestazione cremonese per la “guerra dei sei giorni”; che nel luglio del 1967 aveva visto le “giovanili” del centro-sinistra schierate a sostegno dell'aggredita Israele (anziché, come avevano fatto le sinistre, del fronte arabo).
Ricordo ancora che, non avendo gli amici repubblicani nel loro arco molte frecce di mobilitazione, Dolfini si fece personalmente carico di un congruo sostegno delle spese.
D'altro lato, le assonanze tra socialisti e repubblicani cremonesi erano note ed evidenti nella vita politica locale. Un po' per effetto del non sottaciuto sentiment mazziniano di esponenti come Zanoni e Coppetti ed un pò, perché essendo entrambi movimenti non di massa, avvertivano significativamente l'impulso ad armonizzare, convergere ottimizzare le comunanze elettive e le sinergie.
Rivisitare la figura di Dolfini è come rivisitare la storia politica dell'ultimo mezzo secolo cremonese. In molte circostanze il PRI, in sofferenza operativa, fece parte delle liste socialiste per l'elezione del Consiglio Comunale. Molte furono le battaglie comuni, spronate dallo scomparso leader locale, sui temi dell'agenda politico-amministrativa. Come l'acquisizione e la preservazione del Vecchio Ospedale ed il varo dell'isola pedonale.
Tali battaglie furono impostate insieme ed insieme condotte nel consesso elettivo. Va, infatti, ricordato che Dolfini, quando la pressione professionale allentò un pò, fu capogruppo in Consiglio Comunale, dando vita insieme a PSI, PSDI, PLI al “polo laico-socialista”.
Un'intuizione che ha influenzato periodi significativi del recente passato e che, ce lo dicevamo nei conversari dei periodi più recenti, avrebbe una sua sostenibilità per il presente e per il futuro.
In questo “visto da vicino” la non menzione o la menzione attenuta del suo impegno nelle politiche delle infrastrutture “alternative” (le vie d'acqua) costituirebbe una grave sottovalutazione del suo importante contributo.
Gianezio Dolfini fu il primo Presidente dell'Azienda Regionale dei Porti Interni della Lombardia, costituita come risultanza di una forte testimonianza della politica cremonese (a quei tempi molto coesa sulle questioni sistemiche) a favore di forti progetti di valorizzazione dell'Asta del Po, della bacinizzazione del Grande Fiume, dell'attivazione della Portualità Interna, dell'intermodalità. Durante il primo mandato, sotto la Presidenza Dolfini, fu messa a punto un'agenda sostenibile che produsse, innanzitutto, la sinergia istituzionalizza tra le due capitali del Po (Cremona e Mantova) e la concreta attivazione delle due strutture portuali. Più avanzata la realtà di Cremona, in quanto terminale del Canale; in nuce quella di Mantova, che avrebbe visto il progetto ed il finanziamento approvato dalla Presidenza Dolfini e la prima pietra e l'inizio lavori dal suo successore nell'incarico.
Per favorire la percezione del tratto relazionale di Gianezio Dolfini, nella vita e nei ruoli istituzionali, riveleremo un aneddoto dai forti valori evocativi.
A conclusione del primo mandato presidenziale, il Consiglio Regionale aveva (come conseguenza di mutati equilibri nella rappresentanza) designato altra persona (il sottoscritto).
Sicuramente i tempi per il passaggio del testimone sarebbero stati lunghi ed un trapasso affidato ad un interregno lungo avrebbe (secondo le valutazioni di Dolfini) comportato pause ed incertezze, in un momento in cui l'Ente stava decollando.
Altrettanto sicuramente, se si considerano le “abitudini”, la vacatio avrebbe potuto essere anche di un anno. Dimostrandosi il civil servant ed il galantuomo percepito da tutti, il Presidente uscente, dopo aver informato il successore, inviò una formale lettera di dimissioni e seduta stante procedette al passaggio delle consegne.
Non ci siamo mai persi di vista. Per amicizia e per effetto della “passionaccia” politica, dai tratti molto comuni per non dire coincidenti e per effetto del comune impegno in benemerite associazioni, come la Società Filodrammatica e l'Associazione Zanoni.